Il mio cammino di psicoterapeuta mi ha portato in questi tempi a uscire virtualmente da Modena, la mia città, per incontrare colleghi sparsi in tutta Italia, e non solo. Una delle ultime formazioni cui ho partecipato, tenuta da Giorgia Gollo e organizzata dall’Ordine degli Psicologi dell’Emilia Romagna, riguardava l’elaborazione del lutto ai tempi del coronavirus. Un tema faticoso, che la collega è riuscita a trattare con molta professionalità e umanità.
Il termine “lutto” deriva da lugere, che significa piangere, dolersi.
I significati che diamo a questa parola possono essere diversi. Il lutto è in generale il sentimento di dolore per una perdita, quindi sicuramente per la morte di una persona cara, ma anche per avvenimenti che presuppongono un cambiamento radicale nella nostra vita, come una separazione, un trasloco, un cambio lavorativo.
In questi mesi, le disposizioni causate dall’emergenza coronavirus hanno fatto sì che tutte le espressioni sociali legate al lutto siano state fermate, messe in pausa, generando un grossissimo cambiamento nella percezione e nel modo in cui le persone hanno vissuto il lutto.
Il rito funebre permette lo svolgersi di un momento collettivo importantissimo di espressione del dolore e di presa d’atto della perdita subita. È il tempo in cui visivamente e fisicamente il corpo del nostro caro si appresta a non essere più vicino a noi, in cui il dolore viene condiviso con la nostra comunità e in cui ci rendiamo conto di come la narrazione della vita del defunto occupi un posto importante nel processo di commiato. In definitiva, il momento che permette l’inizio dell’elaborazione del lutto.
Adesso che non ci è possibile accedervi, siamo tutti a rischio di affrontare un lutto complicato.
Per lutto complicato si intende, secondo il DSM V, una condizione in cui la manifestazione del lutto presenta un vissuto negativo che continua anche quando sono trascorsi almeno 12 mesi dalla morte di una persona cara, con persistente senso di colpa, tristezza, invidia o rabbia e continui e ossessivi pensieri riguardo alle cause, alle circostanze e alle conseguenze della perdita.
Il pericolo per chi si trova ad affrontare una perdita in questo periodo, è di trovarsi a compiere un evitamento del lutto, idealizzando il defunto e rivolgendo un grosso carico di rabbia e senso di colpa verso se stessi, rifiutandosi di dire addio al proprio caro. Oppure di ritrovarsi a ritardare l’elaborazione del lutto, che si ripresenterà più avanti con una sintomatologia che può variare da persona a persona.
Umberto Galimberti definisce il lutto come uno “stato psicologico conseguente alla perdita di un oggetto significativo che ha fatto parte integrante dell’esistenza. La perdita può essere di un oggetto esterno, come la morte di una persona, la separazione geografica, l’abbandono di un luogo, o interno, come il chiudersi di una prospettiva, la perdita della propria immagine sociale, un fallimento personale e simili” (2008).
Vediamo quindi come il lutto sia anche un luogo interno, una perdita personale, e non necessariamente una morte fisica. Quando perdiamo una persona amata, c’è sempre anche la perdita di un oggetto interno a noi, perché questa persona definisce una parte di noi stessi.
Oggi la perdita viene resa ancora più difficile dal lockdown, perché rimanendo chiusi in casa è molto più difficile avere possibilità di definire e investire su nuove parti di noi.
Il lutto coinvolge un vissuto rispetto alla relazione e un’elaborazione emotiva e cognitiva, è un momento di completa disorganizzazione, fortemente perturbante, in cui nulla sembra avere più senso., e infatti la domanda che ricorre più spesso in chi vive la perdita è Perché?
Elisabeth Kübler-Ross, psichiatra svizzera e una delle massime esperte sugli studi sulla morte, grazie a una ricerca fatta chiedendo ai suoi pazienti come si sentissero all’idea di morire, desume una serie di fasi che la persona che sta per mancare deve affrontare, fasi che poi si estendono anche al vissuto dei suoi cari, e che possiamo riassumere così:
È comunque necessario ricordare che l’elaborazione del lutto richiede tempo, e non esistono scorciatoie per poterla affrontare. Occorre passare in mezzo al dolore, accettandolo come parte del processo, e poi in generale come parte della vita, senza cercare di evitarlo, diversamente l’elaborazione sarà più lunga e più difficile. Sappiamo anche però che l’elaborazione della perdita dura tutta la vita, perché il legame con l’oggetto perduto rimane sempre vivo dentro di noi, e viene rivisto e ridefinito a più riprese.
Ma come possiamo stare vicino a una persona in lutto?
Quando viviamo una perdita, è fondamentale sentirci accolti e contenuti nella nostra angoscia, come per esempio accade o dovrebbe accadere sempre nello studio di uno psicoterapeuta.
Il dolore deve essere compreso e ove possibile condiviso; abbiamo bisogno di una presenza, di un testimone che cui aiuti a vivere il nostro dolore.
Quando soffriamo possiamo trovare sollievo, sia con l’aiuto di uno psicoterapeuta che grazie alla vicinanza di persone care, nel narrare la nostra esperienza, disegnarla, raccontarla, scriverla, utilizzare simboli e metafore, o qualunque cosa noi sentiamo terapeutico.
D’altro canto per stare vicini a una persona sofferente occorre sapere “stare” con quella sofferenza, con quel pianto, e può non essere facile.
Potremmo avere paura di peggiorare lo stato emotivo dell’altro, o di non saperlo sostenere, o di non sapere gestire il suo dolore o la sofferenza che può risvegliare in noi vederlo stare così male. Ma è comunque consigliato non aspettare troppo a contattarlo e, anche se faticoso per noi, provare a condividere il nostro dispiacere e fargli sentire la nostra presenza, anche per un tempo prolungato (proprio perché, come abbiamo visto, l’elaborazione del lutto dura diverso tempo).
È importante esserci, perché la persona sappia che con noi potrà alleviare il suo senso di solitudine, qualora ne sentisse il bisogno. È fondamentale che sappia che ha a disposizione uno spazio per sentirsi ascoltata e dove potrà esprimere qualunque sua emozione in qualunque modalità scelga di farlo.
Ricordiamoci che non dobbiamo trovare soluzioni, ma semplicemente stare ed ascoltare. Dobbiamo accettare i momenti di silenzio, così come il nostro senso di impotenza.
Possiamo condividere le nostre esperienze, ma non dobbiamo avere mai la pretesa o l’aspettativa che l’altra persona reagisca come abbiamo fatto noi, perché ognuno ha i suoi tempi e le sue modalità di approccio per stare in contatto con le proprie emozioni, e le difese (che siano le nostre o quelle altrui) vanno sempre rispettate.
Accettiamo il pianto dell’altro. È naturale, e le lacrime sono le piastrine dell’anima: sono utili, ci aiutano a elaborare il dolore. Cerchiamo di sostenere la difficoltà dello stare con il pianto di un’altra persona, gestendo le nostre emozioni a riguardo. Tenendo a mente che non possiamo proteggere l’altro dal dolore della perdita.
In poche parole, cerchiamo di offrire rispetto, compassione e presenza.